Con l’articolo di oggi affronteremo un tema legato all’annoso dibattito su quale forma di terapia sia maggiormente efficace: la terapia a breve termine o la terapia a lungo termine? Oltre a fare ciò proporremo alcuni suggerimenti utili al professionista che intende comunque fare la differenza in un solo colloquio.
Come si articola il dibattito?
Sebbene questa discussione sia in parte superata grazie alle ricerche e agli studi (clicca qui) che hanno dimostrato come non ci sia una differenza che propenda per una maggiore efficacia dell’una o dell’altra forma di terapia, spesso ci troviamo ancora a confrontarci con l’opinione di alcuni professionisti che attribuiscono alla terapia breve un effetto “parziale” o legato solo a un cambiamento “superficiale”.
Ci sono però delle differenze che possono orientarci nello scegliere l’una o l’altra forma di terapia?
Per rispondere a questa domanda prendiamo in prestito le parole di Fisch (1982):
La terapia non dovrebbe essere “a lungo termine” o “a breve termine”. Dovrebbe essere sufficiente, adeguata e appropriata, “misurata non in base alla sua brevità o lunghezza, ma in base al fatto se è efficace ed efficiente nell’aiutare le persone con le loro difficoltà, o se invece è solo una perdita di tempo” (p. 156).
A questo punto andiamo oltre il dibattito e condividiamo alcuni suggerimenti utili al terapeuta che vuole fare la differenza in 60 minuti.
- Orienta il paziente verso la soluzione: le persone arrivano dal terapeuta con l’idea di risolvere i problemi e non di rielaborare l’intera storia della loro vita. Per fare in modo che le persone si focalizzino su ciò che desiderano veramente cambiare, puoi porre la Miracle Question ovvero la domanda sviluppata da Steve de Shazer (1985) “Se, per miracolo, ti svegliassi domani e il problema fosse sparito, come sarebbe la tua vita?”. Attraverso questa domanda i clienti rivelano ciò che desiderano di più ottenere, che si tratti di una relazione pacifica con il coniuge, di un sollievo dalla depressione o di un lavoro più appagante. In alternativa, i terapeuti possono semplicemente chiedere ai clienti su cosa vorrebbero concentrarsi prima. Per coloro invece che desiderano una maggiore esplorazione di sé, ci vorrà più tempo di una singola sessione e il terapeuta dovrà comunicarglielo (Hoyt, 2018, Hoyt & Talmon, 2018).
- Scopri le risorse nascoste: le persone spesso hanno già a disposizione gli strumenti necessari per raggiungere le mete che hanno individuato, ciò di cui hanno più maggiormente bisogno invece è metterli in pratica. Ad esempio, se un cliente ha problemi di gestione della rabbia, può essere utile aiutarlo a ricordare un momento in cui voleva colpire qualcuno, ma è riuscito a non farlo. Dopo aver riflettuto, l’uomo si potrà rendere conto di avere molti modi per controllare la sua rabbia, per esempio respirare profondamente, distrarsi e riformulare la situazione.
- Non respingere le idee della persona sul suo problema o sulle soluzioni per risolverlo. In una singola seduta è importante stabilire rapidamente l’alleanza terapeutica e dimostrare di essere dalla parte del cliente. Quindi, invece di cercare di convincerlo a cambiare, è più utile aitarlo a esplorare i pro ei contro dei sui dilemmi attuali. Ad esempio, se una persona teme che lo stress lavorativo possa stimolare una ricaduta nella depressione, è utile riconoscere le sue preoccupazioni e aiutarlo a trovare modi pratici per ridurre al minimo le possibilità che ciò accada, senza evitare del tutto il lavoro.
- Pianifica per il futuro. Ovviamente, non è possibile risolvere tutti i problemi di un cliente in 60 minuti (Hoyt,) Ma è possibile aiutare le persone a dirigersi nella giusta direzione, educandole ad esempio sulla ricerca psicologica e fornendo formazione su alcune competenze o strategie utili a gestire i problemi. Ad esempio istruire una persona sugli attacchi di panico, in particolare su come la sua interpretazione dei sintomi fisici può trasformare un’innocua palpitazione cardiaca in una situazione di panico, può rappresentare già un ottimo intervento per avviare la persona verso la risoluzione del problema.
Conclusioni.
Per concludere ci affidiamo nuovamente alle parole di un grande studioso come de Shazer (1991,a) il quale descrive la terapia breve come segue:
“Terapia breve” significa semplicemente terapia che dura il minor numero di sessioni possibili, non una in più del necessario… “Terapia Breve” è un’espressione relativa che tipicamente significa: (a) poche sedute rispetto allo sandard, e/o (b) un periodo più breve di tempo dall’inizio alla fine, e/o (c) un numero più basso di sedute dall’inizio alla fine (p. ix -x).
Se vuoi saperne di più sulla Terapia a Seduta Singola e approfondire il metodo, puoi leggere il nostro link (clicca qui) “Terapia a Seduta Singola. Principi e pratiche” o partecipare a uno dei nostri workshop (clicca qui).
Angelica Giannetti
Psicologa, Psicoterapeuta
Team dell’Italian Center
for Single Session Therapy
Bibliografia.
Cannistrà, F., & Piccirilli, F. (2018). Terapia a Seduta Singola: Principi e pratiche. Giunti Editore.
Dingfelder, S. (2008), Make the most of one session. Some tips practitioners can use to make a big difference in 60 minutes or less. American Psychological Association from https://www.apa.org/monitor/2008/05/session.
de Shazer (1985). Keys to solution in brief therapy. Norton.
de Shazer (1991,a). Foreword, in Dolan, Y.M., Resolving sexual abuse, Norton.
Hoyt, M. F., & Talmon, M. (Eds.). (2014). Capturing the moment: Single session therapy and walk-in services. Crown House.
Talmon, M. (1990). Single-session therapy: Maximizing the effect of the first (and often only) therapeutic encounter. Jossey-Bass.