Nell’articolo di oggi torniamo a parlare di come il concetto di terapia breve può essere efficacemente adottato al suo estremo logico ovvero la Sessione Singola/Walk-in.
Per affrontare il tema faremo riferimento all’esperienza della consulenza singola realizzata nel servizio di comunità dell’Eastside Family Centre di Calgary (Canada). In questo centro di salute mentale i clienti possono accedere al servizio quando ne sentono la necessità senza passare per lunghi processi formali di presa in carico e liste di attesa (Slive, McElheran & Lawson, 2008) .
L’obiettivo dell’articolo sarà quello di illustrare le caratteristiche dell’intervento attraverso l’esempio di un caso clinico in cui viene affrontato un problema di dipendenza.
Come funziona il servizio?
L’Eastside dell’Eastside Family Centre di Calgary si trova in una zona molto diversificata dal punto di vista culturale che comprende molti migranti e molte famiglie con difficoltà economiche.
Il servizio walk-in è il fulcro del Centro e fornisce assistenza primaria e servizi di prevenzione in stretta collaborazione con altre risorse della comunità come i medici di famiglia, le scuole e altri servizi di salute mentale compresi i dipartimenti di emergenza dell’ospedale. L’accesso al servizio con orari molto estesi, non prevede un costo e il tempo medio di attesa è di 20 minuti.
Com’è composto il team del servizio?
Il team, che risponde a tutti i clienti, è composto da tre a cinque terapisti, uno dei quali è il responsabile clinico, chiamato coordinatore del turno. I membri del team sono una combinazione di terapeuti esperti e studenti appena laureati.
Come lavora il team?
Ogni sessione dura 50 minuti ed è fondata sull’Approccio di Milano (Boscolo, Cecchin, Hoffman e Penn, 1987) che prevede cinque fasi: la pre-sessione, la sessione, l’intersessione, l’intervento e la post-sessione. La conversazione con il cliente (la sessione) dura circa 30 minuti ed è osservata dal team dietro lo specchio. Il terapista si prende una pausa per consultare il team e sviluppare un intervento (l’intersessione), poi torna dal cliente, svolge l’intervento. Al termine della sessione, il team esegue il debriefing (post-sessione). Prima che i clienti lasciano il Centro, il terapista chiede loro un feedback che include un modulo che misura lo stress post-seduta e domande sulla soddisfazione rispetto alla sessione. Se il feedback è negativo, il cliente viene contattato telefonicamente per un follow-up.
Ora vediamo come funziona il modello
L’obiettivo della Terapia a Seduta Singola/Walk-in offerta dall’Eastside Family Centre è che il cliente lasci la sessione con un senso di sollievo emotivo e il raggiungimento di un risultato positivo.
I risultati positivi possono variare da cliente a cliente: per un cliente può essere semplicemente quello di essere ascoltato da qualcuno, per un altro, invece, potrebbe corrispondere a un nuovo modo di pensare al problema. Un altro cliente può lasciare la sessione con un compito, come ad esempio un nuovo modo di avvicinarsi al problema che lo preoccupa, oppure può essere inviato a un altro servizio di aiuto.
Cosa vuole il cliente?
Un altro obiettivo è quello di scoprire velocemente ciò che il cliente desidera dalla sessione. Per raggiungere questo scopo il terapeuta potrebbe chiedere al cliente:
“Cosa dovrà accadere durante il nostro tempo insieme che le farà credere che sia valsa la pena di venire qui oggi?”
Rispondere a questa domanda è un’opportunità per il cliente di guidare il terapeuta. Il terapeuta così potrà concentrarsi su quel desiderio ed evitare speculazioni nel passato che non riguardano le preoccupazioni attuali del cliente.
Sviluppare una comprensione del contesto
Un’altra domanda utile a restringere l’ambito dell’intervento è “Perché adesso?”
La risposta a questa domanda può aiutare il terapeuta a contestualizzare il problema e a collocarlo nelle interazioni attuali. Ogni risposta alla domanda “perché ora” può fornire idee diverse al terapeuta e guidare le domande successive. Altre domande utili a contestualizzare il problema potrebbero essere:
- In che modo questo è un problema per te adesso?
- Come mai hai scelto di venire oggi?
- Chi altri è a conoscenza della tua situazione?
Risorse del cliente
È fondamentale aderire all’idea che solo i clienti possono risolvere i loro problemi e che tutti i clienti dispongono di risorse utili per la loro risoluzione. Le risorse del cliente potrebbero includere quelle personali del singolo cliente sia quelle sociali (famiglia, amici, colleghi di lavoro, insegnanti, ecc.). Non è insolito, ad esempio, che una sessione si concentri su come chiedere assistenza a un amico o come invitare un membro della famiglia ad accompagnare il cliente per una futura sessione walk-in. Tuttavia le domande chiave per mettere in risalto tali risorse potrebbero essere le seguenti:
- Che cosa hai fatto per evitare che il problema si impadronisca completamente della tua vita?
- In che modo gli altri nella tua vita ti sono stati utili?
Tentativo di soluzioni
In linea con il Mental Research Institute (MRI) (Watzlawick, Weakland, & Fisch, 1988) è utile considerare l’idea che a volte “il problema è la soluzione tentata”. In tal senso è utile scoprire ciò che il cliente ha già provato a fare in passato (ciò che ha funzionato, ciò che non ha funzionato o che ha funzionato solo per un breve periodo di tempo) per aiutarlo a riutilizzare ciò che è stato utile per lui, tralasciando ciò che non lo è stato.
Conoscere la motivazione del cliente
In linea con de Shazer (1985) è meglio pensare in termini di cooperazione tra cliente eterapeuta. La responsabilità della costruzione di una relazione collaborativa dovrà essere del terapeuta, che per ottenere ciò dovrà sforzarsi di conoscere la motivazione che ha indotto il cliente a partecipare alla sessione walk-in.
Pensare in piccolo
Secondo questo approccio il cambiamento è costante e un piccolo cambiamento porta a un grande cambiamento. I terapeuti che pensano in piccolo non commetteranno l’errore di promuovere più cambiamenti di quelli desiderati dal cliente.
Terapia focalizzata sulla soluzione
La Solution Focused Therapy (Berg & Dolan, 2001; de Shazer, 1985) ha introdotto delle tecniche di intervista che risultano molto utili nelle sessioni walk-in. Le interviste sono progettate per aiutare i clienti a concentrarsi sulle soluzioni più che sui problemi. Alcune di queste includono le domande sulle eccezioni al problema (periodi in cui il problema non si è manifestato), le domande orientate al futuro (cosa potrebbe fare il cliente quando il problema non controllerà più la sua vita?), quelle che sviluppano obiettivi focalizzati o che ridimensionano il problema (“Se l’intensità del problema attualmente è classificata come 6 su una scala di 10 punti, cosa deve capitare per ridurre il problema a 5? ” oppure “ Nonostante il problema, come riesci a fare ciò che stai realizzando? ”).
Teoria del cambiamento del cliente
Secondo Duncan & Miller (2000) tutti gli approcci e le tecniche sono equivalenti rispetto al raggiungimento del risultato, ciò che fa la differenza è il cliente. Quest’ultimo è il vero direttore del processo di cambiamento Nella terapia walk-in è fondamentale invitare i clienti a riferire cosa potrebbe essere più utile per loro. Ciò si può ottenere chiedendo loro cosa vorrebbero dal processo terapeutico, le loro convinzioni sul problema (“teoria del problema”) e le idee su cosa li aiuterebbe a risolverlo (“teoria del cambiamento”). Esempi di domande potrebbero essere:
- Cosa funzionerà per te oggi?
- Ci sono domande che desideri che io ti ponga a cui non sono arrivato?
- Per molte persone è sufficiente una singola sessione con un terapeuta per agire: quale sarebbe il passo più piccolo che ti direbbe che stai andando verso la giusta direzione?
Caso clinico: sfidare una relazione con le dipendenze
Una donna di 35 anni, Mary, si recò da sola al servizio di terapia walk-in. La donna in lacrime parlava di come le sue dipendenze dal gioco d’azzardo e dall’alcol le stavano rovinando la vita. Mary spiegò che le sue carte di credito esaurite e non era in grado di pagare l’affitto, che avrebbe dovuto saldare entro tre giorni. Quel giorno andò al servizio walk-in per tenersi lontana dal casinò. Raccontò che la sua storia con il bere era iniziata circa 10 anni prima all’università, dove aveva incontrato un uomo che faceva uso di alcol da molto tempo e con il quale rimase per molto tempo anche dopo aver capito che non era la persona giusta per lei. Mary era riuscita a lasciare l’uomo solo sei mesi prima dell’incontro.
Mentre la donna era convinta sull’interruzione della relazione, lo era di meno rispetto alla sua soluzione per far fronte alla solitudine che ne era derivata: Mary dopo la separazione dall’uomo cominciò ad andare al bar per riprendere una vita sociale, ma presto era diventata dipendente dal gioco d’azzardo. Riferì che si sedeva, beveva birra e giocava alle macchine, usando le sue carte di credito. Ora era sull’orlo di perdere il suo appartamento, il suo lavoro e le sue amiche che le avevano consigliato di cercare aiuto.
Quando la terapeuta chiese a Mary come aveva preso la decisione di venire in consulenza, dato che non l’aveva mai fatto prima, rispose dicendo di aver già parlato con amici e familiari e di aver capito che loro non erano abbastanza obiettivi per esserle d’aiuto. Tendevano a diventare “emotivi”, mostrando rabbia o delusione quando lei raccontava di come fosse “scivolata”. La terapeuta quindi le chiese “perché oggi?” e Mary rispose che quel giorno si era accorta che doveva stare lontana dai tavoli da gioco o si sarebbe persa completamente per le sue dipendenze. Continuò dicendo che si sentiva più disperata che mai.
A Mary fu chiesto se ricordava momenti in cui era stata al comando nella sua vita. La donna raccontò, con voce fiduciosa, una storia di momenti in cui si sentiva completamente responsabile della sua vita e non andava al bar e non giocava d’azzardo. Riferì inoltre che quelli erano i tempi in cui i suoi amici e la sua famiglia dicevano di essere “orgogliosi” dei suoi successi. La terapeuta allora le chiese quando fu l’ultima volta in cui si era sentita così responsabile. A quel punto Mary pianse, affermando che erano passati circa sei mesi da quando aveva avuto quella sensazione e che quello era un altro motivo per il quale aveva deciso di chiedere aito a un consulente piuttosto che alla sua famiglia, poiché riteneva che quest’ultima fosse molto turbata dal fatto che avesse iniziato di nuovo a giocare d’azzardo.
A quel punto a Mary fu chiesto di raccontare come fosse riuscita a gestire le sue dipendenze sei mesi prima. Ancora una volta Mary affermò chiaramente che all’epoca aveva incontrato un altro uomo da cui era attratta e che pensava fosse interessata a lei. In quel momento il team dietro lo specchio unidirezionale, chiese attraverso la terapeuta cosa avrebbe voluto ottenere Mary da quella sessione e lei rispose che era alla ricerca di nuove idee utili a rimettersi in carreggiata senza gioco d’azzardo. Il team continuò a chiedere a Mary cosa le sarebbe piaciuto prendere da quella sessione, ovvero cosa le avrebbe indicato che quel tempo le sarebbe stato utile. Mary affermò con enfasi che riuscire ad astenersi dal gioco quella sera sarebbe stato il modo più utile.
Dopo un colloquio con il team, il terapeuta riformulò a Mary che le dipendenze erano come una nuova relazione con se stessa dopo la rottura con il compagno. Il team, inoltre, chiese a Mary se preferiva continuare una relazione con le sue dipendenze o perseguire una relazione con persone che potevo supportarla nella vita. Le fu chiesto di considerare quale fosse la cosa più importante per lei.
Mary fu incoraggiata a chiamare un amico con il quale poteva andare a casa quella notte e non tornare ai tavoli da gioco. Le fu anche suggerito di scegliere un’ora ogni sera della settimana successiva, quella in cui di solito sarebbe partita per il bar, per passare il tempo a rivedere tutti gli eventi che le avevano causato dolore. La donna pianse per quelle perdite e cercò di immaginare come si sarebbe mossa per poter svolgere quel compito. Le furono dati i numeri di telefono degli Alcolisti Anonimi e del centro ambulatoriale per il trattamento delle. Infine fu invitata a tornare al Centro se ne avesse avuto bisogno.
Mary lasciò il Centro affermando che quella era la prima volta in sei mesi in cui aveva avuto un momento di pace e in cui si era sentita responsabile di se stessa. Decise, inoltre, di andare a casa di una sua amica per la notte e di chiamare un amico dal Centro per incontrarsi in una caffetteria locale come inizio della serata.
Se vuoi saperne di più sulla Terapia a Seduta Singola e approfondire il metodo, puoi leggere il nostro link (clicca qui) “Terapia a Seduta Singola. Principi e pratiche” o partecipare a uno dei nostri workshop (clicca qui).
Angelica Giannetti
Psicologa, Psicoterapeuta
Team dell’Italian Center
for Single Session Therapy
Bibliografia
Berg, I. K., & Dolan, Y. (2001). Tales of solutions: A collection of hope inspiring stories. New York: Norton.
Boscolo, L., Cecchin, G., Hoffman, L., & Penn, P. (1987). Milan systemic family therapy. New York: Basic Books
de Shazer, S. (1985). Keys to solution in brief therapy. New York: Norton.
Duncan, B. L., & Miller, S. D. (2000). The heroic client: Doing client-directed, outcome informed
therapy. San Francisco: Jossey-Bass
Slive, A., McElheran, N. & Lawson A. (2008). How Brief Does it get? Walk-in Single Session Therapy, Journal of Systemic Therapies, pp. 5–22.
Watzlawick, P., Weakland, J. H., & Fisch, R. (1988). Change: Principles of problem formation and problem resolution. New York: Norton.
White, M. (1986). Negative explanation, restraint and double description: A template for family therapy. Family Process, 25(2), 169–184.
White, M., & Epston, D. (1990). Narrative means to therapeutic ends. New York: Norton.