L’articolo di oggi si concentra in modo particolare su uno dei fattori terapeutici (o di cambiamento) che agisce in modo particolare all’interno della Terapia a Seduta Singola (TSS) ovvero la speranza.
Come sappiamo la TSS è un metodo ampiamente diffuso nei servizi di salute mentale in quanto rappresenta una soluzione clinicamente efficace per ridurre i lunghi tempi di attesa e superare le difficoltà di accesso alla psicoterapia.
Obiettivo dell’articolo pertanto è quello fornire indicazioni utili su come promuovere questo fattore durante le sedute di Terapia a Seduta Singola.
Perché la speranza è così rilevante nella Terapia a Seduta Singola?
Come abbiamo ampiamente scritto negli articoli precedenti (clicca qui), dal momento che la Terapia a Seduta Singola non è un approccio terapeutico, ma un metodo di intervento, quest’ultimo non è sostenuto da un particolare modello teorico.
Pertanto la domanda che deriva da questa osservazione è: cosa influisce sugli esiti clinici che si ottengono con la TSS?
In letteratura sono stati rintracciati i seguenti elementi fondamentali ovvero:
- la fiducia del clinico riguardo al cambiamento del cliente (Bloom, 2001);
- la capacità del clinico di stabilire una relazione terapeutica positiva (Talmon, 2012);
- la disponibilità del cliente al cambiamento (Stalker, Horton e Cait, 2012).
Ma questi sono gli unici elementi o quelli più importanti?
A tale proposito la studiosa Alesya Courtnage (2020) nel suo articolo Hoping for Change: The Role of Hope in Single Single Session Therapy, pubblicato sul Journal of Systemic Therapies, si concentra sulla teoria della speranza di Snyder (1994), partendo dalla convinzione che la speranza abbia il potenziale per trascendere i diversi i punti di vista su quali fattori e principi pratici rendano efficace una TSS.
Come si collega il fattore della speranza con i diversi principi pratici?
È ormai accertato che una Terapia a Seduta Singola efficace richieda al terapeuta di visualizzare ogni incontro terapeutico come:
- un episodio a sé stante (Bloom, 2001);
- pragmatico e fondato su una forte alleanza terapeutica (Slive & Bobele, 2012);
- centrato sul presente e sul futuro, piuttosto che sul passato (Slive & Bobele, 2012).
Quest’ultimo aspetto è un concetto chiave per attivare la speranza. I clienti comprendono che concentrarsi sul presente e sul futuro piuttosto che sul passato, permette loro di vedere che i problemi sono gestibili.
Ma cos’è la speranza?
Sin dal medioevo la speranza è presente nel linguaggio della filosofia, della religione, della spiritualità, dell’antropologia e della psicologia (Weingarten, 2010).
Sebbene le definizioni di speranza varino a seconda della cultura e dei contesti (Herrestad, Biong, McCormack, Borg e Karlsson, 2014), è opinione comune che la speranza consista in un modo di vedere le situazioni oltre i problemi (Hanna, 2002) ed è orientata al futuro (Larsen, Edey e Lemay, 2007).
Nel campo clinico che ruolo riveste la speranza?
Nell’ambito della consulenza la capacità di un terapeuta di trasmettere speranza e fiducia nella capacità del cliente è costantemente riconosciuta come uno dei più importanti predittori di crescita in terapia (Asay & Lambert, 1999; Duncan, Miller, & Sparks, 2004).
Reiter (2010) sostiene che la speranza può essere sviluppata durante l’incontro e risultare più malleabile nelle prime fasi della terapia. Aspetto quest’ultimo di particolare importanza per la TSS che spesso rimane il primo e unico incontro tra cliente e terapeuta.
Ma come viene attivata la speranza nel colloquio clinico?
Snyder (2002) definisce la speranza come uno stato cognitivo la cui presenza favorisce la capacità delle persone di perseguire i propri obiettivi ed è il risultato dell’interazione tra: gli obiettivi mentali, i percorsi verso l’obiettivo e la capacità percepita di raggiungere l’obiettivo (agency).
Secondo lo studioso una volta che una persona ha identificato un obiettivo si verifica una continua interazione tra i percorsi immaginati per raggiungere l’obiettivo e il pensiero agentico. Le persone con maggiori speranze hanno maggiori probabilità di essere fluide, creative e flessibili su quale percorso funzionerà per raggiungere il loro obiettivo (Snyder, 1994). Questo è particolarmente importante nella TSS, in quanto i clienti non ripresentandosi nella maggior parte dei casi per ulteriori sessioni avranno la possibilità di sviluppare in modo indipendente percorsi alternativi per affrontare le loro problematiche.
Conclusioni
In conclusione, adottando la teoria della speranza come riferimento teorico per la pratica della Terapia a Seduta Singola i clinici potranno iniziare a isolare la speranza in modo più intenzionale nel loro lavoro. Sebbene i principi della pratica della TSS esistano e aiutino a guidare la pratica clinica, la speranza è tuttavia un’importante componente attiva che i terapeuti di TSS possono utilizzare per massimizzare l’esperienza della singola sessione e attivare la speranza dei clienti in modo rapido ed efficiente fin da subito.
Se vuoi saperne di più sulla Terapia a Seduta Singola e approfondire il metodo, puoi leggere il nostro link (clicca qui) “Terapia a Seduta Singola. Principi e pratiche” o partecipare a uno dei nostri workshop (clicca qui).
Angelica Giannetti
Psicologa, Psicoterapeuta
Team dell’Italian Center
for Single Session Therapy
Bibliografia.
Asay, T. P., & Lambert, M. J. (1999). The empirical case for the common factors in therapy: Quantitative findings. In M. A. Hubble, B. L. Duncan, & S. D. Miller (Eds.), The heart and soul of change: What works in therapy (pp. 23–55). American Psychological Association.
Bloom, B. L. (2001). Focused single‐session psychotherapy: A review of the clinical and research literature. Brief Treatment and Crisis Intervention, 1(1), 75–86.
Cannistrà, F., & Piccirilli, F. (2018). Terapia a Seduta Singola: Principi e pratiche. Giunti Editore.
Courtnage, A. (2020). Hoping for change: The role of hope in Single-session therapy. Journal of Systemic Therapies, Vol. 39, No. 1, 2020, pp. 49–63
Duncan, B. L., Miller, S. D., & Sparks, J. (2004). The heroic client: A revolutionary way to improve effectiveness through client-directied, outcome-informed therapy (2nd ed.). Jossey-Bass.
Hanna, F. J. (2002). Therapy with difficult clients: Using the precursors model to awaken change. American Psychological Association.
Herrestad, H., Biong, S., McCormack, B., Borg, M., & Karlsson, B. (2014). A pragmatist approach to the hope discourse in health care research. Nursing Philosophy, 15(3), 211–220.
Larsen, D., Edey, W., & Lemay, L. (2007). Understanding the role of hope in counselling: Exploring the intentional uses of hope. Counselling Psychology Quarterly 20(4), 401–416.
Reiter, D. (2010). Hope and expectancy in solution focused brief therapy. Journal of Family Psychotherapy, 21, 132–148.
Slive, A., & Bobele, M. (2012). Walk-in counselling services: Making the most of one hour. Australian and New Zealand Journal of Family Therapy, 33(1), 27–38.
Snyder, C. R. (1994). The psychology of hope: You can get there from here. Free Press.
Snyder, C. R. (2002). Hope theory: Rainbows in the mind. Psychological, Inquiry, 13(4), 249–275.
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Talmon, M. (2012). When less is more: Lessons from 25 years of attempting to maximize the effect of each (and often only) therapeutic encounter. Australian and New Zealand Journal of Family Therapy, 33(1), 6–14.
Weingarten, K. (2010). Reasonable hope: Construct, clinical applications, and supports. Family Process, 49(1), 5–25.