In che modo può essere declinata la Terapia a Seduta Singola nella pratica professionale? Oggi vogliamo illustrare 2 modi per poterla integrare nella propria pratica professionale, in particolare nella pratica privata.
Con questo articolo ci rivolgiamo a tutti quei professionisti (psicologi, psicoterapeuti, psichiatri, medici, infermieri, assistenti sociali, tecnici della riabilitazione ecc.) che vedono nella psicoterapia o più in generale nella relazione d’aiuto un servizio rivolto alla persona, e che in virtù di questa ragione, sentono il bisogno costante di fare ricerca, aggiornarsi ed entrare in contatto con pratiche innovative al fine di massimizzare l’efficacia del loro intervento e rispondere in maniera mirata ai cambiamenti e alle nuove richieste dei cittadini.
Un approccio flessibile
La Terapia a Seduta Singola, come abbiamo potuto osservare (ad esempio qui), è un approccio che in Italia è arrivato con qualche anno di ritardo e le ragioni di ciò sono molteplici, ma non sempre ricercare le “cause” di un fenomeno ci porta a trovare la sua soluzione, pertanto oggi preferiamo accorciare tali distanze e scoprire come avvicinarsi a questa pratica.
La TSS, per chi ancora non avesse familiarizzato con tale concetto, è un metodo trasversale a diversi approcci terapeutici (ad esempio: cognitivo-comportamentale, sistemico-familiare, strategico, solution-oriented, ipnotico o psicodinamico – si veda ad esempio l’articolo di Federico Piccirilli).
Non solo, essa può essere applicata in molti modi (abbiamo ad esempio parlato di “consulenza psicologica a seduta singola“) e ambiti di intervento diversi (contesti sanitari pubblici: ospedali, contesto dell’emergenza, contesto privato – sempre Piccirilli ci ha dato alcune idee qui e qui).
È un approccio saldamente fondato sulla teoria del cambiamento, ovvero sull’osservazione di come il cambiamento avviene spontaneamente nella vita delle persone (nonché nei contesti terapeutici) e sull’osservazione di come le persone abbiano le risorse per cambiare. Il suo obiettivo è quello di massimizzare l’efficacia dell’intervento in ogni singolo colloquio (al punto che in molte situazioni la prima seduta può rappresentare il solo e unico intervento a disposizione!).
Coloro che intendono avvicinarsi alla TSS, quindi, si staranno ponendo tante domande rispetto alla sua validità ed efficacia e soprattutto come integrarla nella pratica quotidiana.
Integrare la Terapia a Seduta Singola nella pratica: 2 esempi
Come sappiamo lo studio teorico di un approccio, seppur approfondito non può prescindere dalla sua applicazione pratica e l’unico modo per comprenderne il reale funzionamento è quello di utilizzarlo.
Pertanto per i professionisti che hanno deciso di dare una svolta al loro percorso professionale, mossi dal desiderio di migliorare il lavoro clinico e cominciare a rispondere in maniera più adeguata alle nuove richieste dei clienti, accogliere la TSS significa prima di tutto compiere un radicale cambiamento del proprio mindset e cominciare a nuotare nel mare aperto delle possibilità.
Prendere il largo, però, non significa necessariamente lasciarsi andare in balia delle onde senza mappe, scialuppe e salvagente. Vuol dire più che altro sperimentare, e con lo sguardo aperto provare a “vedere l’effetto che fa!”
Ad esempio, se siete dei colleghi che hanno iniziato da poco ad esercitare la libera professione o al contrario siete professionisti di lungo corso, ma avvertite la necessità di cambiare rotta, questo articolo potrebbe interessarvi.
Oggi, infatti, vi proponiamo 2 modi di inserire la TSS nella pratica clinica: la TSS come alternativa al colloquio gratuito e la TSS come seconda opinione.
TSS come alternativa al colloquio gratuito
Colui che, agli inizi della professione, non ha utilizzato il colloquio gratuito come strategia per promuovere il proprio lavoro, scagli la prima pietra! Non tutti, certo, ma molti sono gli psicologi che utilizzano il colloquio gratuito e si è visto che molte persone non tornano dopo quel primo colloquio: perché? E su quali principi il professionista è spinto ad adottare questa strategia?
Generalmente le convinzioni (non supportate da un reale dato scientifico!) alla base della scelta di fare un colloquio gratuito sono prevalentemente 2:
- da un lato, quella di avvicinare la persona alla psicoterapia, permettendogli di scegliere e valutare le competenze del professionista
- dall’altro quella di rispondere alla crisi economica avvicinandosi al bisogno del paziente di non sentirsi intrappolato in una rete dalla quale potrebbe iniziare un lungo percorso senza fine.
Ma questa strategia funziona?
E per logica deduzione a quali conclusioni ci porta?
Quello che osserviamo è che spesso il paziente non torna, non lasciando traccia delle motivazioni che lo hanno spinto verso questa scelta. Tale fenomeno definito drop-out spesso viene “interpretato” come il risultato di un “paziente resistente”, di una “mancanza di motivazione al cambiamento” oppure di una “personalità borderline”, convincendo noi stessi di questa realtà.
Ma cosa dicono i dati?
Le ricerche condotte in tutto il mondo negli ultimi trent’anni confermano che:
- 1 è il numero più frequente di sedute fatte in psicoterapia, con una media che oscilla tra il 20 e il 50% a seconda degli studi; e laddove i terapeuti sono consapevoli di fare questa scelta si arriva anche all’80% dei casi (Hoyt & Talmon, 2014 – nota: “il più frequente” significa che è più frequente delle terapie di 2 sedute, di quelle di 3, di quelle di 4 ecc. Non significa, invece, che la maggior parte delle terapie dura una seduta, cosa che chiunque può constatare non essere vera);
- il 70-80% delle persone che scelgono una Seduta Singola riporta di aver avuto esattamente ciò di cui aveva bisogno (Hoyt & Talmon, 2014; Bloom, 2001);
- in una scala da 1 (risolto o molto migliorato), a 5 (rimasto invariato), il tasso medio di miglioramento è 1,5 (Talmon, 2012, 1990);
- i risultati sono mantenuti nei follow-up fino a 8 anni (Slive & Bobele, 2011).
Infine in Italia stiamo conducendo gli stessi studi, arrivando alle stesse conclusioni: la TSS è un modello efficace e capace di rispondere chiaramente alle necessità odierne di chi cerca un aiuto nell’ambito della salute mentale.
Dunque il dato che emerge è che spesso la persona non torna nello studio dello psicologo semplicemente perché sta bene.
E se questi dati non bastassero, si possono prendere in esame altre ricerche, del tutto slegate dalla TSS, che hanno preso in esame il fenomeno del drop-out, domandandosi come mai le persone interrompono prematuramente la terapie. La risposta data più di frequente dai pazienti, spesso con risultati sorprendentemente simili tra loro, è sempre la stessa: “Perché stavo bene”. Anche dopo una sola seduta.
Sappiamo infatti quanto un singolo colloquio possa avere di per sé un forte potere ristrutturante e aiutare la persona a percepire in modo diverso la realtà e il modo di affrontare le sue problematiche. Alcuni degli ingredienti fondamentali per ottenere ciò sono:
- stabilire una buona alleanza
- lavorare su obiettivi chiari e definiti
- individuare e utilizzare le risorse del paziente
Allora perché non utilizzare la TSS per massimizzare questo potere e fare un colloquio a tutti gli effetti, anziché un mero colloqui gratuito “conoscitivo”?
Lo psicologo (e con lui psicoterapeuti, psichiatri e altre figure simili) deve sapere che in un solo colloquio c’è buona possibilità di dare alla persona esattamente ciò di cui ha bisogno per aiutarla a stare bene, e che molto probabilmente colei che non tornerà non lo farà per questioni economiche, perché non si è trovata bene con il clinico, o perché “è resistente”, ma semplicemente perché in quell’unica seduta il professionista l’ha aiutata quanto bastava – pur non rendendosene conto.
TSS come seconda opinione
A quanti colleghi sarà capitato di incontrare pazienti, giunti nel proprio studio sfiduciati nei confronti di un professionista, dopo aver affrontato un lungo percorso terapeutico senza aver ottenuto risultati e spaventati dall’idea di doversi imbarcare nuovamente in una terapia senza fine?
O peggio ancora, di aver conosciuto pazienti non convinti del percorso scelto, che hanno deciso di rinunciare a una seconda possibilità, convinti di dover affrontare nuovamente costi insostenibili?
E quante volte anche in queste circostanze, ci siamo affidati alla convinzione che alla base di tale comportamento ci fosse una resistenza al cambiamento da parte del paziente e non una reale necessità di superare i propri problemi in tempi e costi adeguati alle proprie necessità?
Ma cosa ci dicono i dati?
Di nuovo, per non cadere nella trappola delle facili interpretazioni, possiamo fare riferimenti ad alcune interessanti ricerche che hanno indagato come le persone intendono “la cura di sé”. Da tali ricerche si evidenziano due trend generali (PwC, 2015), ovvero sia la volontà delle persone di risolvere i propri problemi (da difficoltà a malesseri, da disturbi a psicopatologie), sia di volerlo fare in tempi brevi e spendendo poco.
Ad esempio, secondo PwC:
- più della metà delle persone (54%) non vuole fare lunghi spostamenti per curarsi (ma lo farebbero per raggiungere centri di eccellenza);
- oltre i 2/3 (66%) non è disposta a impegnarsi in cure che durino a lungo;
- più di 8 persone su 10 (81%) non intendono sostenere cifre economiche elevate per prendersi cura di sé (ma, anche qui, lo farebbero nei centri di eccellenza).
Ciò che emerge quindi è che nonostante la crisi economica, la volontà di star bene delle persone non è diminuita, ma ciò che è cambiato è il modo in cui la persona cerca di star bene. Ad esempio, la cura fai-da-te (do-it-yourself health care) è in rapidissimo aumento, complice anche l’inarrestabile evoluzione delle tecnologie digitali (IBM, 2008; IlSole24Ore, 2012; PwC, 2015).
In tale contesto, quindi, la TSS può rappresentare anche un valido strumento per fornire una seconda opinione e massimizzare l’efficacia di quell’incontro, aiutando la persona a mettere a fuoco le sue risorse, a trovare la chiave per affrontare una situazione bloccata o semplicemente per avere una visione più chiara di sé e dei propri problemi.
Dare un aiuto su misura
Ricordiamo brevemente che alla base della TSS c’è l’idea che un cambiamento può avvenire anche con un’unica seduta, se si parte dal presupposto che:
- in ogni seduta è possibile individuare già gli elementi che ne massimizzino l’efficacia (buona alleanza, obiettivi chiari, risorse del paziente);
- il cliente possiede già le risorse (capacità, abilità, competenze) per cambiare e risolvere il problema (approccio resource-based), facilitando il lavoro del terapeuta e la rapidità della terapia, nonché il superamento della resistenza;
- grandi problemi non necessitano grandi soluzioni: ciò porta a riconsiderare il ruolo del terapeuta ora visto come una “guida”, che deve condurre il paziente fuori da una situazione pericolosa, ora come un “facilitatore”, che lo aiuta a sbloccarsi e a iniziare il cambiamento che lo condurrà alla risoluzione autonoma del problema.
E tuttavia lo scopo della TSS è piuttosto un altro: quello di massimizzare l’efficacia di ogni singolo incontro, che sia l’ultimo, quello di accoglienza, un secondo parere, o altro ancora.
Se vuoi altre informazioni per apprendere come applicare la TSS e come integrarla nella tua pratica, puoi pensare di iscriverti al nostro workshop (prossima data 20-21 maggio a Milano): una parte del quale è proprio dedicata a spiegare i diversi modi per applicare la TSS nel proprio lavoro. Per maggiori info visita la pagina Formazione.
Angelica Giannetti
Psicologa, Psicoterapeuta
Trainer dell’Italian Center
for Single Session Therapy
Se vuoi saperne di più sulla Terapia a Seduta Singola e approfondire il metodo, puoi leggere il nostro link (clicca qui) “Terapia a seduta singola. Principi e pratiche”o partecipare a uno dei nostri workshop (clicca qui).
Riferimenti bibliografici
Bloom, B. L. (1981). Focuses single-session therapy: Initial development and evaluation. In S. H. Budman (acura di), Forms of brief therapy. New York: Guilford Press.
Budman, S. H. & Gurman, A. S. (1988). Theory and practice of brief therapy. New York: Guilford Press.
Dazzi, N., Lingiardi, V. & Colli, A. (a cura di) (2006). La ricerca in psicoterapia. Milano: Raffaello Cortina.
Hoyt, M. F., Rosenbaum, R. L. & Talmon, M. (1992). Planned single-session psychotherapy. In S.H. Budman, M.F. Hoyt & S. Friedman (eds.), The First Session in Brief Therapy (pp. 59-86). New York: Guilford Press.
Hoyt, M. F. & Talmon, M. (2014). Capturing the Moment. Bancyfelin, UK: Crown House (Tr. it. in pubblicazione).
IBM Global Business Services (2008). La sanità e l’assistenza sanitaria nel 2015. (online).
IlSole24Ore Sanità. (2012). Il futuro del servizio sanitario in Europa e in Italia. I report di Economist e CEIS Tor Vergata. (online).
PwC. (2015). Top health industry issues of 2016. Thriving in the New Health Economy. (online).
Silverman, W. H. & Beech, R. P. (1979). Are dropouts, dropouts? Journal of Community Psychology, 7, 236-242.
Talmon, M. (1990). Single-Session Therapy. San Francisco: Jossey Bass (Tr. it. Psicoterapia a seduta singola. Trento: Erickson, 1996).
Watzlawick, P., Weakland, J. H. & Fisch, R. (1974). Change. Principles of Problem Formation and Problem Solution. Palo Alto: M.R.I. (Tr. it. Change. Sulla formazione e la soluzione dei problemi. Roma: Astrolabio, 1975).
Weir, S., Wills, M., Young, J. & Perlesz, A. (2008). The implementation of Single Session Work in community healt. Brunswick. Australia: The Bouverie Centre, La Trobe University.