L’alleanza terapeutica nella Terapia a Seduta Singola

L’alleanza terapeutica nella Terapia a Seduta Singola

Uno dei temi più dibattuti quando si parla di Terapie Brevi è senz’altro quello dell’alleanza terapeutica, quando il dibattito poi si concentra sul modo in cui questo fattore influisce nella Terapia a Seduta Singola, il confronto assume toni ancor più accesi.

Con l’articolo di oggi ci concentreremo su uno studio realizzato da Chrystal T. Fullen (2019) che descrive proprio il processo di co-costruzione dell’alleanza terapeutica nell’ambito della TSS a partire dall’analisi di alcune conversazioni terapeutiche.

 

 

Che cos’è nello specifico l’alleanza terapeutica?

L’alleanza terapeutica è uno dei fattori terapeutici più studiati nel campo della psicologia (Gelso, 2014). Nonostante i ricercatori e i professionisti non concordino sulla sua definizione, l’importanza che ricopre nel processo terapeutico invece è universalmente riconosciuta (Bordin, 1979). Spesso le parole alleanza e relazione vengono usate in modo intercambiabile per descrivere la connessione che si sviluppa tra il terapeuta e il cliente durante la terapia. Tuttavia Chrystal T. Fullen (2019) nella ricerca citata in questo articolo ha scelto di usare la parola alleanza per mettere in risalto l’ipotesi ampiamente diffusa che la forza dell’alleanza terapeutica è correlata ai risultati positivi della terapia (Arnow et al., 2013).

 

 

Perché l’alleanza terapeutica suscita tanto interesse?

Storicamente in psicologia la ricerca sui fattori terapeutici ha occupato un ruolo importante. I ricercatori hanno mostrato un costante interesse per i meccanismi che influiscono sul cambiamento in psicoterapia (Liebert & Dunn-Bryant, 2015). Tale attenzione non sorprende se si considera l’esistenza di oltre quattrocento modelli di psicoterapia, molti dei quali in forte competizione tra loro (Behan, 2019).

 

 

Esistono dei fattori di cambiamento comuni a tutte le psicoterapie?

Nel 1936 Rosenzweig postulò che tutti i modelli di psicoterapia sono efficaci e che il successo di tutte le terapie risiede nei punti in comune tra i modelli e non nelle loro differenze. Da allora, i ricercatori hanno continuato a individuare i fattori comuni nel tentativo di creare una teoria universale in grado mettere in evidenza i fattori specifici responsabili del successo della terapia (Frank, 1961; Wampold, 2001).

 

 

A quali conclusioni sono giunti i ricercatori?

La teoria più ampiamente accettata fino ad oggi è la teoria dei fattori comuni formulata da Lambert (1999) che nel 2010 Duncan, Hubble, e Miller (2010) hanno ampliato, mettendo in relazione i fattori che contribuiscono al cambiamento terapeutico con i risultati della terapia. Tale studio ha rilevato che gli esiti positivi di una terapia sono:

  • per il 40% direttamente collegati alle risorse extra-terapeutiche del cliente
  • per il 30% all’alleanza terapeutica
  • per il 15% alla speranza del cliente
  • per il 15% all’approccio teorico del terapeuta (Duncan, Hubble e Miller, 2010).

 Sebbene questa teoria sia ampiamente accettata, alcuni ne contestano la validità (de Felice et al., 2019), identificando altri comuni fattori (Brown, 2015; Drisko, 2014; Frank & Frank, 1993; Horvath & Luborsky, 1993). Indipendentemente da quale teoria venga favorita, tutti concordano però sul fatto che l’alleanza terapeutica sia fondamentale in tutti gli approcci terapeutici (Del Re & Wampold, 2012; Wampold, 2015).

 

 

Quando il tema dell’alleanza terapeutica si inserisce nel dibattito sulla durata della terapia cosa succede?

L’interesse per la durata della psicoterapia è fortemente legato al presupposto che l’alleanza terapeutica tra terapeuta e cliente venga stabilita in più sessioni. La controversia sulla lunghezza della terapia deriva dalla convinzione di alcuni ricercatori e professionisti che per creare una forte alleanza di lavoro e garantire la soddisfazione del cliente, a un terapeuta fosse necessario lo svolgimento di un numero alto di sessioni (Glebova et al., 2011).

 

 

Ma cosa è stato osservato da altri studiosi?

Howard, Kopta, Krause e Orlinksy (1986) hanno pubblicato uno studio che mette in evidenza come il numero di sessioni e gli esiti della psicoterapia sono correlati negativamente. Gli autori hanno suggerito inoltre che il massimo beneficio dalla psicoterapia si verifica nelle prime sei sessioni, mentre con il passare del temo non si verificano significativi miglioramenti. Spesso i clienti mostrano soddisfazione nei confronti di un servizio di psicoterapia indipendentemente dal numero di sessioni frequentate (Littlepage et al., 1976) così come l’alleanza terapeutica insieme ai risultati positivi e alla soddisfazione del cliente non dipendono dalla durata di trattamento (Ardito & Rabellino, 2011; Arnow et al., 2013; Horvath & Symonds, 1991).

 

 

E la ricerca di Fullen?

Fullen ha condotto la sua indagine, utilizzando l’analisi della conversazione (CA), un metodo qualitativo di analisi sviluppato da Harvey Sacks (1995), un importante sociologo, attraverso la quale ha analizzato una singola sessione di terapia. L’uso della CA nella ricerca in psicoterapia è consolidato e costituisce un valido metodo di analisi (Couture & Sutherland, 2006; Muntigl & Horvath, 2016; Sutherland & Strong, 2011).

 

 

Quali sono stati i risultati?

L’analisi ha riguardato lo studio di terapie a seduta singola realizzate con adulti compresi tra i 18 e i 75 anni. Gli estratti delle conversazioni hanno fornito prove chiare a sostengono della co-costruzione di un’alleanza terapeutica durante tutta la sessione. Fullen ha identificato i momenti della trascrizione in cui il terapeuta e il cliente si sono impegnati nella definizione di significato, collaborazione, analizzando le caratteristiche paralinguistiche della conversazione. Successivamente ha associato gli estratti delle trascrizioni con gli aspetti della relazione già definiti in precedenza dalla teoria originale di Bordin (1979) che ha definito l’alleanza terapeutica come un reciproco accordo riguardo agli Obiettivi (Goal) del cambiamento e ai Compiti (Task) necessari per raggiungerli, insieme allo stabilirsi dei Legami (Bond) che mantengono la collaborazione tra i partecipanti al lavoro terapeutico.

Di seguito gli elementi rilevati nelle conversazioni che hanno permesso la co-costruzione dell’alleanza:

  • Spontaneità della relazione
  • Considerazione positiva e incondizionata da parte del terapeuta verso il cliente
  • Empatia
  • Accordo sul raggiungimento di un obiettivo di lavoro
  • Compiti necessari per il raggiungimento dell’obiettivo
  • Relazione professionale tra cliente e terapeuta costruita sulla fiducia creata attraverso la spontaneità e il rispetto incondizionato
  • Soddisfazione del cliente per la terapia

 

 

Conclusioni

Con l’articolo di oggi abbiamo voluto fornire delle prove a sostegno dell’idea che una singola sessione di terapia possa essere sufficiente per creare un’alleanza terapeutica stabile e positiva. La ricerca citata nell’articolo mette in evidenza come la TSS si basi sugli stessi principi di altri approcci terapeutici ovvero, aiutare il cliente a migliorare la qualità della vita attraverso la co-costruzione di un’alleanza terapeutica utile ad amplificare i risultati terapeutici positivi. Con l’aumento dei costi sanitari e delle cure la TSS diventa un’opzione terapeutica conveniente ed efficace. I risultati dello studio supportano, inoltre, tutte quelle ricerche che ritengono che la TSS sia efficace quanto le altre forme di terapia basate sull’evidenza. Questi risultati sfidano anche i ricercatori che suggeriscono che i modelli a lungo termine siano più efficaci semplicemente perché sono più lunghi senza considerare tutta la ricerca a supporto del fatto che la frequenza con cui le persone svolgono una terapia è spesso di una o solo di alcune sessioni e con soddisfazione per i risultati raggiunti.

 

 

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Angelica Giannetti
Psicologa, Psicoterapeuta
Team dell’Italian Center
for Single Session Therapy

 

 

Bibliografia

 

Ardito, R. B., & Rabellino, D. (2011). Therapeutic alliance and outcome of psychotherapy: Historical excursus, measurements, and prospects for research. Frontiers in Psychology, 2, 270.

Arnow, B. A., Steidtmann, D., Blasey, C., Manber, R., Constantino, M. J., Klein, D. N., . . . Kocsis, J. H. (2013). The relationship between the therapeutic alliance and treatment outcome in two distinct psychotherapies for chronic depression. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 81, 627–638.

Behan, D. (2019). Demoralization during medical illness: A case of common factors treatment. Clinical Social Work Journal, 47(3), 266–275.

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de Felice, G., Giuliani, A., Halfon, S., Silva, A., Paoloni, G., & Orsucci, F. F. (2019). The misleading Dodo Bird verdict. How much of the outcome variance is explained by common and specific factors? New Ideas in Psychology, 54, 50–55.

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Drisko, J. (2014). Research evidence and social work practice: The place of evidencebased practice. Clinical Social Work Journal, 42(2), 123–133.

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Wampold, B. E. (2015). How important are the common factors in psychotherapy? An update. World Psychiatry, 14(3), 270–277.

Wampold, B., & Budge, S. (2012). The 2011 Leona Tyler Award address: The relationship— And its relationship to the common and specific factors of psychotherapy. Counseling Psychologist, 40(4), 601–623.

 

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Angelica Giannetti